Un luogo oltre il quale non si poteva andare

«Ti ricorderai di questo giorno, Gogol?» gli aveva chiesto suo padre, voltandosi a guardarlo, le mani premute come paraorecchie sui due lati della testa. 
«Per quanto me lo devo ricordare?»
Sul vento che si alzava e calava riuscì a sentire la risata di suo padre. Era lì, lo aspettava, gli allungò una mano quando si avvicinò. 
«Cerca di ricordarlo per sempre» disse quando Gogol lo raggiunse prima di riportarlo lentamente indietro lungo il frangiflutti, fino al punto dove li aspettavano Sonia e sua madre. «Ricorda che io e te siamo arrivati fin qui, che siamo andati insieme insieme in un luogo oltre il quale non si poteva andare».

Ho finito ieri L’omonimo, di Jhumpa Lahiri. Un libro davvero bello, in cui ho faticato un po’ (ma solo un po’) a entrare ma che poi mi ha conquistato. Mi ha preso la storia di questa famiglia di bengalesi trapiantata negli Usa, la diversità tra generazioni, tra chi è emigrato ed è un bengalese sradicato e chi invece è nato negli Stati Uniti è americano ma porta comunque su di sé in qualche modo lo stigma del diverso. Ma anche e forse soprattutto sono rimasto catturato dalla scrittura di Jhumpa Lahiri, dalla sua capacità in questo romanzo di scendere nel profondo delle anime e di renderle leggibili con parole piane, raccontando le cose che avvengono come se fossero già avvenute qualche (poco) tempo prima. Un libro che consiglio vivamente.

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