Stamattina mi sono svegliato con quella sensazione di dolore alle ossa tipica di chi fa il vaccino contro l’influenza e, quando viene attaccato da qualche altro ceppo, non sfoga con una di quelle belle sfebbrazzate di una volta ma se la trascina per un po’ con sintomi collaterali.
Comunque, nonostante tutto, quando mi sono svegliato verso le 5 e 45, mi sono stracoperto e sono andato a far uscire Chicca, che era stata bravissima, non aveva espletato nulla all’interno e vagava, come sempre, nello studio tra una giravolta e una lunga pausa ferma nel nulla.
Sia come sia, dopo aver aspettato che tornasse dal suo giro ad expletandum, le ho dato da mangiare e, portata giù al cancello la carta (oggi è il giorno della carta), sono tornato tra le pezze. Dopo la colazione – accompagnata da un’alba davvero dalle dita di rosa –, mi
sono lasciato andare a un sonno se non piombigno almeno di stagno. Mi ha risvegliato verso le 9 e mezza uno strano rumore di fondo, come se stessi dormendo dentro una gabbia appesa a un albero. Ho guardato fuori ed era tutto nero e vociante, i campi, il terrazzo, gli alberi (sul noce sembrava svolgersi un’affollata riunione di condominio). Fine d’anno con gli storni, insomma. Sono sceso a rigovernare di nuovo Chicca, ho guardato il nero brulicante e vociante dappertutto e poi, appena fuori dalla porta d’ingresso, ho battuto le mani due o tre volte. Ed è stata la follia.
Visti da lontano, gli storni volano disegnando quei frattali strepitosi da cui non riusciamo a staccare gli occhi. Da vicino è una macchia nera e rumorosa di migliaia e migliaia di uccellozzi (non sono piccoli gli storni…) che ti passa sopra, strillando e (probabilmente) scagazzando. Ai campi tutta quella merda farà sicuramente bene. Al mio Duster, appena lavato, un po’ meno…
Però, almeno, dopo il mio intervento si sono spostati un centinaio di metri più giù. Ma c’è da giurare che torneranno.