
Antonio Debenedetti nel ritratto di Riccardo Mannelli per La Repubblica
«Non ho paura della morte ma ho il terrore di abbandonare la vita. È strano come mi senta legato a qualcosa che non ho mai capito fino in fondo». Con queste parole Antonio Debenedetti, scrittore e giornalista, conclude la bella intervista che Antonio Gnoli gli ha fatto su La Repubblica del 17 febbraio. Quando le ho lette, queste parole, ho subito fotografato le pagine del quotidiano che stavo leggendo sul tablet (la versione moderna del ritagliare qualcosa sul giornale). Perché la versione di Debenedetti illuminava improvvisamente di una luce diversa qualcosa che ho sempre confusamente – ma vivamente, oh se vivamente… – sentito per tutta la vita o quasi.
Ho sempre avuto un’enorme paura di morire, fin da quando ero molto giovane. Almeno così pensavo e ho pensato per decenni, fino a quando le parole del figlio di Giacomo Debenedetti, il grande critico letterario, hanno dato un senso nuovo a quello che provavo (o credevo di provare). Anch’io penso di non aver mai capito fino in fondo questo susseguirsi di giorni che chiamiamo vita. E, peggio, di non averlo mai apprezzato abbastanza. Perché il corollario di tutto questo ragionamento è che questa cosa strana che è la vita, anche se è difficile capirla e capirne il senso, bisogna viverla meglio che si può, ogni giorno per quello che può dare, ogni giorno per quello che puoi dare a quel giorno. Se no, che senso ha avere paura di lasciare qualcosa che non apprezzi?
Non so quanti dei 24.010 giorni che ho alle spalle io abbia vissuto consapevole della loro unicità e irripetibilità (in altre parole, senza sciuparli, in parte o del tutto). Probabilmente pochi. Sicuramente un numero inferiore a quelli che avrei potuto. Ma il passato è quello che è e non si può cambiare.
Ma se la vita è qui e ora; e se l’idea di abbandonarla terrorizza (come terrorizza) anche me; allora è qui e ora, in ogni qui e ora che mi aspetta nei prossimi X giorni (il calcolo di quelli che ho alle spalle è relativamente facile; mi è però impossibile fare ipotesi su quelli che mi restano) che posso fare qualcosa. Probabilmente non per superare il terrore di lasciare questo mondo. Ma almeno per fare sì che questo terrore abbia un senso.