A volte mi sveglio al mattino, mi guardo allo specchio e dico: riproviamoci dopo. In effetti è un po’ da masochisti guardarsi appena svegli (si fa per dire), con gli occhi cipicciosi, i capelli (lo so, sembra impossibile ma è vero), che vanno dove par loro meglio (e non è mai nel verso giusto) e l’espressione che se provi ad atteggiare un sorriso sa di tirato e falso lontano un miglio. Ma poi, dopo la doccia, il mondo sembra un altro. E anch’io, se mi guardo, mi sembro un altro me rispetto a quello di mezz’ora prima: provo un timido sorriso, inclino la testa dalla parte giusta, stringo un po’ gli occhi e sì, mi sembro accettabile, alle volte perfino più che accettabile, alle volte mi piaccio proprio anche se, sempre più spesso, poi mi viene da ridere e un cordiale autovaffa sorge spontaneo.
Ci sono giorni invece che mi sveglio, magari come oggi con il mal di schiena che non vuole sapere di andarsene nonostante due scrocchiate da Christensson, con il mio tendine d’Achille che sta diventando il mio tallone di Achille e con la paura che anche l’anca ricominci a farmi male (razionalmente so che se la schiena mi fa male assumo una posizione di difesa e l’anca di conseguenza lavora male, ma la ragione nulla può con le paure); se mi sveglio così, il mondo mi appare decisamente una merdaccia, e io una merdaccia con lui. Nemmeno la doccia mi salva ed è meglio evitare lo specchio.
Poi magari salgo in macchina per fare la spesa e ascoltare Selling England by the pound a palla con i finestrini spalancati è un ottimo antidoto al malumore e aiuta ad andare avanti.
Buffo però quanto corta sia la distanza tra sentirsi uno splendido sessantacinquenne e una merda di sessantacinquenne .