Neque hic vivus…

Santa Maria del Popolo è una delle chiese più belle di Roma. Addossata alle mura, in un angolo della incredibile “macchina” del Valadier, custodisce opere d’arte che da sole, se si trovassero in un’altra città, giustificherebbero la visita (alla città): prime fra tutte le due celeberrime tele del Caravaggio nella Cappella Cerasi. Ma nella chiesa lavorarono anche artisti come Pinturicchio, Bramante, Raffaello, Bernini, Annibale Carracci (mi fermo qui ma potrei continuare …).

IMG_2732Nella chiesa dei padri Agostiniani, proprio all’ingresso, c’è un’opera d’arte che mi ha sempre incuriosito,da quando, adolescente, vi entrai per la prima volta in uno dei miei tour alla scoperta di Roma. È una tomba, un monumento funebre, decisamente originale.  Per l’apparato iconografico e anche per quello testuale che l’accompagna, per l’impatto visivo insomma e per le suggestioni filosofico-religiose che suscita. Si tratta della tomba di Giovanni Battista Gisleni, singolare figura di artista del Seicento (nacque a Roma proprio nel 1600 e vi morì 72 anni dopo). Oggi l’avrebbero definito “un cervello in fuga”. Allora, semplicemente, un “minore” che non trovando spazio nella Roma di quei decenni, affollata di personaggi geniali, cercò (e costruì) il suo futuro in Polonia. Poliedrico, era poliedrico: architetto, pittore, scultore, regista teatrale, scenografo, cantante e musicista.

Novo deposito

Il frontespizio del libello

Per i vari re polacchi che si succedettero dal 1630 in poi fu architetto di corte (lo fu per quasi un trentennio), costruendo chiese, palazzi, altari e macchine scenografiche per vittorie in guerra, matrimoni, incoronazioni e funerali.

Alla fine degli anni cinquanta tornò a Roma (dove nel frattempo grazie ai successi polacchi era divenuto Accademico di S. Luca e Virtuoso del Pantheon).

A Roma però non si conosce nulla di suo se non la tomba che appunto si preparò, ancora in vita, nella chiesa di Piazza del Popolo. Tomba che lo stesso Gisleni, per interposto (anonimo) scrittore, illustrò e spiegò in opuscolo a stampa un anno prima di morire (libello che è stata scoperto e pubblicato due anni fa da Gianpasquale Greco).

La tomba mette insieme le tre arti principali di Gisleni: l’architettura, la pittura e la scultura. Nell’insieme, assai ben orchestrato nonostante gli spazi esigui (di cui G. si lamenta nel libretto), spiccano il busto (dipinto) del defunto, con la scritta sottostante (NEQUE HIC VIVUS) e lo scheletro dietro le sbarre, anche qui con scritta sottostante (NEQUE ILLIC MORTUUS). (Le foto qui sotto le ho tratte dal blog Rocaille, che dedica un lungo post alla chiesa di Santa Maria del Popolo)

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Sulle due epigrafi molto si è scritto negli anni. L’interpretazione dell’autore è questa. “Sta per senso che in questa vita non si vive, mentre in ogni momento ci andiamo accostando alla morte, né dopo questa è veramente morto chi passa ad altra immortale”. E i due medaglioni di bronzo sopra lo scheletro rafforzano il concetto. A sinistra il baco da seta, che muore nel bozzolo (IN NIDULO MEO MORIAR) per rinascere farfalla (fenice) nel medaglione di destra (UT FOENIX MOLTIPLICABO DIES).

La prossima volta che passate da Santa Maria del Popolo, guardate le opere di Caravaggio, di Carracci, di Pinturicchio, la sublime tomba di Agostino Chigi di Raffaello, i monumenti funebri di Andrea Bregno e le statue di Bernini. Ma entrando, se vi ho messo addosso solo un po’ di curiosità, buttate un occhio anche al “deposito” di Gisleni. Ché lui sta lì dietro, certo, ma magari sta anche da qualche altra parte…

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