A Roma le scuole sono chiuse per la pioggia. E anche qui piove, con andamento lento, costante, inesorabile. E sullo sfondo c’è il rumore sordo e un po’ inquietante di Farfa (il mio vicino chiama così il fiume che scorre sotto di noi: senza articoli davanti che lo ingentiliscano, come un essere vivente, una forza della natura, da rispettare e da temere: “Quando Farfa s’engazza…” dice con l’aria di chi ha visto molte cose nei suoi ottant’anni di vita).
La foto qui sopra è meno umida della realtà, in effetti, anche se il cielo grigio tendente al bianco è così per via dell’enorme quantità di particelle d’acqua che contiene, in sospensione e in precipitazione. Quando le cose stanno così, la saggezza campagnola (anzi, cambagnola) dice di pensare che la terra è contenta (a volte è così contenta che smotta…) e aspettare tranquilli che passi.
E magari ripensare a cose belle. Come la luna di ieri sera.
O l’incontro ravvicinato con gli agrumi che mi ha detto che sì, l’arancio Navel è bello carico, e quest’anno hai voglia a spremute mattutine…
Mentre il tarocco soffre un po’: il terreno in cui è stato piantato, lì nel mezzo dell’aia, non era il massimo: ma adesso gli abbiamo dato del ferro, gli abbiamo messo intorno un bel po’ di terra buona e spostato i gerani che gli succhiavano energia e si spera che riparta alla grande. Comunque ha una bella quantità di frutti, e con le sua arance rosse la spremuta è molto buona.


