Ci sono foto che le vedi, dici “che bella” (o magari: “che foto del cazzo”), ma non hanno seguito: la tua attenzione dura un tot (di solito poco) e poi passi ad altro.
E ce ne sono altre, come quella qui a fianco, che – almeno a me – fanno tutt’un altro effetto. Stavo lì ieri che giravo sull’i-Photo del portatile, guardando per l’ennesima volta le immagini del viaggio in Francia, che mi è cascato l’occhio su questa foto, nella sua versione piccolina (più o meno come l’ho postata qui), che sta assieme a tutte le altre nel calderone dello streaming foto.
Stava assieme a quelle scattate a Belcastel, quindi non è che ci fossero dubbi sulla location. Ma proprio non me ne ricordavo e soprattutto non capivo che cosa avessi scattato. Vedevo dei colori: del rosa, del verde, dell’azzurro, del beige. E basta. Aveva un che di “giapponese”, di calligrafico. Ingrandita, non è che tutto fosse più chiaro. Sì, vedevo un albero verde, un arbusto rosa, un altro verde. Poi, ingrandendo ulteriormente, ho capito che c’era anche la riva (verde) del fiume, attraversata da lame di luce, e il fiume stesso, l’Aveyron, verdastro al sole e gigio-cilestrino nelle zone d’ombra.
Piano piano ho ricostruito l’avvenimento. La foto l’ho scattata scendendo all’interno di una torre, ancora in alto però, guardando fuori da una feritoia. E nonostante il prevalere del nero – a naso direi un tre quarti dell’immagine –, devo dire che la vita che irrompe dal di fuori mi rasserena.
Esattamente il contrario – ho capito dopo un po’ – di quel meraviglioso (e tremendo) quadro di Jackson Pollock al Centre Pompidou, di cui ho già scritto, che trent’anni fa mi impressionò tantissimo.
Lì, nel quadro di Pollock, che non a caso s’intitola The Big Deep, il nero, la ferita, ti porta dentro, ti chiede di lasciarti andare, di vincere le tue paure, di immergerti (e chissà come ne uscirai, da quella immersione…).
Qui la ferit(oi)a sulla vita, che comunque va avanti tranquilla lì fuori, t’invita a tornare fuori, alla vita, a viverla, all’aperto, sotto il sole, in una vacanza che potrebbe non finire mai.
Grandiosa la foto e commento letterario di livello, molto bello l’accostamento al The Big Deep
Troppo buono. Mi confondi