Non avevo voluto vedere L’esorcista di William Friedkin quando uscì nelle sale nel 1973. Era un film troppo commerciale per un intellettuale come me (anche se, di nascosto, amavo i “film de paura”).
Neppure il fatto di essere un film dello stesso regista che l’anno prima aveva vinto l’Oscar con Il braccio violento della legge (“bello, ma in fondo un’americanata anch’esso” pensai – quante cazzate ho detto e pensato negli anni…) mi convinse. E nemmeno che il protagonista fosse un attore come Max Von Sydow, che amavo (e amo) davvero.
Ma qualche anno dopo, all’inizio degli anni 80, nel corso di uno dei Massenzio al Circo Massimo, era previsto a chiusura di una serata “de paura” proprio L’esorcista. E così lo vidi. E mi ricordo che tutta la proiezione fu costellata di battute più o meno azzeccate da parte del nostro gruppo e un po’ di tutti. Quasi a esorcizzare l’esorcista. Film, devo dire, grande e potentissimo. E inquietante fino nel profondo, al di là delle scene splatter, del vomito verde e della testa che gira, a toccare corde che uno preferisce non far vibrare mai. Tanto inquietante che, quando arrivai a casa e, entrato in garage, persi un po’ di tempo a fare la manovra e si spense la luce, quel breve tragitto nel buio che avevo fatto mille volte fu lunghissimo e angoscioso. E poi, entrato nell’atrio, l’ascensore non arrivava mai. Insomma, un bell’attacco di panico.
Il giorno dopo ne scherzai con il mio amico Claudio, che aveva diviso con me la serata. E che mi raccontò di avere avuto un’esperienza pressoché identica. Garage, buio, terrore, ascensore che non arriva mai. Una coincidenza, non c’è dubbio. Solo una coincidenza.
O no?
