Dopo l’uragano

Ieri sera abbiamo finito con le ultime due puntate (la 9 e la 10) la prima stagione di Treme, la serie che la Hbo ha dedicato alla New Orleans del dopo Katrina. Io amo molto le serie americane e le guardo da vent’anni o anche più, prima che diventassero un fenomeno di moda tra l’intellighenzia italiana. Bisogna essere duttili nella vita. E io sono duttile. “Sta co’ frati e zappa l’orto” diceva la moglie toscanissima del mio amico Gianni. Ed è una definizione in cui mi riconosco. Mi piace l'”alto” e (forse ancora di più) il “basso”. For everything there is a season, cantavano i Byrds, e si erano ispirati a qualcuno ancora più in alto che lo aveva scritto qualche tempo prima.

Comunque, tornando a bomba, Treme mi è piaciuta molto, moltissimo. Sono quasi subito entrato dentro la storia, grazie anche al fatto di vederla in originale (ma come si può doppiare lo slang di New Orleans e la parlata gutturale e sincopata degli afroamericani? O come rendere la grazia della voce afona di Jacques, l’aiuto chef? Potere in realtà si potrebbe, come hanno fatto per tutte le altre serie. Ma non l’hanno ancora fatto, e allora sulla rete gira una versione sottotitolata da quei veri eroi contemporanei che si mascherano sotto improbabili nomi di battaglia e provvedono spontaneamente a rendere fruibili cose altrimenti fuori dalla portata di chi non è di madrelingua. E in più stavolta va detto che i sottotitoli sono fatti davvero bene. Onore agli eroici subtitlers e al collega e amico S. che via emule ci ha fatto aver questo bendidio.

Ritornando di nuovo a bomba, Treme è la nuova fatica di David Simon, che assieme a Ed Burns aveva firmato The Wire, la serie cult su Baltimora che molti definiscono la più bella di tutti i tempi (e modestamente lo penso anch’io) e che su Imdb ha un rating di 9.6 (su 10) nel giudizio di 60.000 e rotti votanti. Difficile e in fondo inutile fare paragoni, vista la diversità dell’ambientazione (Tremé è il nome di un quartiere nero di New Orleans) e il fatto che in Treme non c’è l’elemento poliziesco che invece era il motore di The Wire (anche se poi si andava molto oltre).

Clarke Peters nel ruolo di Big Chief

Semmai in comune c’è il ritmo e la maniera corale e un po’ epica di narrare le storie che s’intrecciano nella città del dopo uragano, tra tetti da riparare, burocrazia da bypassare, voglia e difficoltà di ritornare a casa. Con le Second Line, parate di strada in cui si esprime il cuore e la voglia di vivere nonostante tutto della città e dei suoi abitanti, i funerali con tanto di carro trainato da cavalli e banda di vecchietti (ma che bravi e che facce quei vecchietti…). Con le bande degli Indiani che si preparano per il Mardi Gras. Con la depressione che può arrivare all’improvviso e stroncarti.

Lucia Micarelli, Steve Zahn e Kim Dickens

E sopra tutto l’assoluta qualità degli interpreti, tra cui alcuni nomi assai noti (John Goodman e Melissa Leo), alcuni attori-feticcio di Simon (Wendell Pierce e Clarke Peters, sopra tutti) e altri (Steve Zahn, Kim Dickens, Khandi Alexander, la violinista Lucia Micarelli) che diventano subito quasi amici di famiglia. E poi c’è la musica, il vero collante della storia e della città, come sa chiunque sia stato a New Orleans, abbia girato il Vieux Carrè e magari speso qualche ora alla Preservation Hall o ascoltando musicisti di strada che spesso non hanno nulla da invidiare ai colleghi più fortunati. Nella serie appaiono mostri sacri del rock come Elvis Costello e suonano musicisti che sono il simbolo e il cuore di New Orleans, come Allen Toussaint, Irma Thompson o Trombone Shorty (e molti altri ancora).

È un dolore quando finisci di vedere una serie. È come quando ti viene portato via un bel giocattolo e resti un po’ più solo. Fortuna che S. è già al lavoro per scaricare la seconda serie e che sulle rive del Mississippi stanno lavorando per darci la terza. Lunga vita a New Orleans. Long live Treme.

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