Close encounters of the “n” kind

Da sinistra, una fetta di Chicca, il gambero in posizione di difesa/offesa, Fausto come gli artisti sotto la tenda del circo: perplesso

La prima volta che ho sentito parlare di gamberi di fiume, è stato a Capestrano, in un ristorante alle sorgenti del Tirino.Un posto incredibile – bruttissimo il ristorante, costruito con la bruttezza dell’ignoranza, terrazze di cemento in un posto tra i più belli che abbia mai visto – dove il clou era la pasta con i gamberi di fiume. Si sa – insomma, non lo sapevo ma me lo spiegarono gli amici – che i gamberi di fiume vivono solo dove l’ambiente non è inquinato. Così, quando chiesi al ristoratore conferma di questo, restai male quando mi disse, candidamente, che i gamberi li allevavano in delle vasche e che provenivano dalla Croazia, ché dal Tirino se n’erano andati da tempo. Sic transit gloria mundi.

Così non credevo ai miei occhi quando il 4 agosto di otto anni fa – eravamo appena arrivati qui nella valle del Farfa –, durante la passeggiata sul sentiero che in quel tratto costeggia il fiume, vidi i cani fermarsi ad abbaiare e, arrivato in loco, li vidi fissare un po’ sorpresi il gambero che vedete nella foto, con le chele aperte e allargate, a difendersi da un possibile attacco. Mi ricordai che un vicino mi aveva detto che in una cascatella sul Farfa, dalla sua parte del fiume, un posto per lui magico tanto che lo chiamava Laguna blù (e in cui non sono mai andato…) di gamberi ce n’erano tanti e si facevano pure pescare facilmente. Ma sul sentiero…

E anche in seguito negli anni questi close encounters si sono ripetuti. Una volta – devo anche avere la foto da qualche parte –, ne contai tredici, in fila, sul sentiero. Ora, che i gamberi stiano nel fiume va bene: è anche prova del fatto che non è (troppo) inquinato. Ma che cazzo ci fanno tredici gamberi su un sentiero nel bosco, a una ventina di metri dall’acqua?

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