Se c’è un artista dimenticato nel mondo della musica pop rock, quasi rimosso nonostante i suoi indubbi meriti, di sicuro questi è Donovan. Forse per l’equivoco, creatosi quando uscì il suo primo disco, che fosse l'”alternativa inglese” a Bob Dylan. Equivoco ingenerato da quelle bellissime canzoni folk che erano Colours, Catch the wind e The universal soldier, quest’ultima con quel che di antimilitaresco e protestatario che favorì il fraintendimento.
Perché in realtà quasi subito Donovan scelse un’altra strada, fulminato sulla via di S.Francisco dal flower power, dalle idee del movimento hippy e dall’approccio psichedelico alla realtà. Donovan Leitch, scozzese di nascita, sfornò tra il 1965 e il 1970 una dopo l’altra una serie di canzoni splendide. Grandi successi con arrangiamenti originali e innovativi (nei quali contò molto l’influenza del produttore Mickie Most). Qualche titolo può aiutare: Sunshine Superman, Mellow Yellow, Wear Your Love Like Heaven, Jennifer Juniper, Hurdy Gurdy Man, Season of the Witch. E mi fermo qui perché la prolificità del nostro era notevolissima e la qualità pure. Nei suoi album suonavano i migliori musicisti dell’epoca (John Paul Jones, Jeff Beck, Ron Wood, Danny Thompson, per citare solo alcuni di quelli che parteciparono alle session di Barabajagal). Ma più che album veri erano raccolte di canzoni, almeno a mio avviso.
Il primo vero album è in pratica anche l’inizio del declino, almeno in termini di successo, ma mi ricordo di averlo consumato sul piatto, in quel 1970. Si chiamava Open Road ed è insieme l’album di un cantautore e l’album di un gruppo. E in effetti sulla copertina originale dell’ellepi (a differenza del cd qui a fianco) il nome di Donovan non c’era, c’era solo quello del gruppo. Gli Open Road comunque erano, oltre a Donovan, voce, chitarra, armonica e autore di tutte le canzoni, John Carr, batteria e voce, Mike Thomson, basso, chitarra e voce, e Mike O’Neill, piano e voce (ma stranamente in copertina oltre a Donovan ci sono solo altri due musicisti, chissà perché…). E il sound è quello di un gruppo (“celtic rock”, definisce la propria musica lo stesso Donovan) con la ritmica (i piatti soprattutto) in bella evidenza, con una costruzione dei pezzi che valorizza gli apporti strumentali dei singoli, con una grande varietà negli stili, dal blues alla bossa nova, dal rock cantautorale a ritmi etnici antelitteram. Forse manca il grande hit, ma pezzi come Changes, con il suo incedere spezzato e incalzante, la trascinante Celtic Rock, l’ipnotica Riki Tiki Tavi (a metà strada tra la Giamaica e l’Africa) sono veramente notevoli e sono solo le punte di diamante di un album di grande livello. Poco conosciuto ma davvero bello.