Tra sabato e ieri ho bevuto due bottiglie che sono al top della produzione Mandrarossa, la linea di qualità della cantina Settesoli di Menfi (Sicilia sud-occidentale, tra Agrigento e Selinunte), una realtà produttiva enorme, con oltre 2.000 soci e e 6.500 ettari in produzione.
Prima il Cava di serpe 2009, poi il Cartagho 2008. Entrambi rossi, il primo un uvaggio (merlot 50%, nero d’avola 25%, alicante 25%), il secondo nero d’avola in purezza.
Due vini buoni, specie il secondo, morbido e accattivante (tra l’altro ha ottenuto i tre bicchieri del Gambero Rosso). Il primo era invece un po’ “duro”, forse anche per la giovane età: magari un po’ d’invecchiamento in bottiglia gli farebbe bene, anche se nel complesso, sia “al naso” che “in bocca”, era tutt’altro che banale, il rischio vero per i vini “di massa”.
E in effetti, pur essendo al top (o quasi) della gamma, hanno entrambi un prezzo più che ragionevole, intorno ai 12 euro, che li rende interessanti in più di un’occasione. Anche perché oramai non se ne può più di vini che costano decine e decine (quando non centinaia) di euro. Al di là del fatto che una persona normale non se li può permettere, c’è anche un problema, non vorrei dire morale, ma insomma, di opportunità da tenere ben presente.
È chiaro che alla fine è il mercato che decide. E se c’è chi se li compra, fanno anche bene certi produttori a provarci e a spararla grossa. Ed è anche chiaro che certi standard di qualità e certe basse rese non possono essere “gratis”. Ma c’è sempre una misura. E ci sono fior di vini di grandissima qualità e dal prezzo accettabile.
Allora la sfida di questi anni di crisi è proprio quella di cercare i prodotti che coniugano la qualità con un prezzo accettabile. E in questo realtà enormi come Settesoli – e in Sicilia sono più d’uno i produttori a fare questa politica, con successo – sono avvantaggiate.
Dimenticavo: ho bevuto il Cartagho su un crostino di pane alle noci appena tostato ricoperto di gorgonzola al cucchiaio (una specialità che mi ha portato mio fratello dal suo salumiere di fiducia) che, sul caldo del pane, si era ammorbidito e quasi filava. Un ottimo connubio.
PS Nei miei ricordi di studi classici, Carthago si scriveva con l’acca tra la t e la a. Ma se Mandrarossa lo vuol scrivere con l’acca tra la g e la o, faccia pure. Basta che continui a fare il vino a quel livello…

