Durante i primi anni 70 ho condotto una trasmissione radiofonica su una piccola radio di Monteverde (per chi non è di Roma si tratta del quartiere che sta sopra Trastevere), che si chiamava Radio Spazio ed era la prima – e forse l’unica – emittente a Roma a trasmettere in quadrifonia.
La musica che mandavo in onda andava sotto l’etichetta folk-jazz inglese e comprendeva tanta bellissima roba, dai Fairport Convention ai Pentangle, dagli Steeleye Span ai Caravan. C’erano anche tantissimi cantautori. Tra questi uno di quelli che più amavo era John Martyn. Uno che ha avuto tutta la vita degli estimatori sfegatati ma che non ha mai raggiunto il successo quello con la S maiuscola. Insomma il classico artista di culto. Iperamato dagli altri artisti – Eric Clapton, Phil Collins e tanti altri – con quel tanto (davvero tanto) di autodistruttività che accompagna tutti i maudit.
Inizia giovanissimo (è del 1948 e il suo primo album è del 1968). Dopo il secondo lp ne fa due insieme alla moglie Beverley, e poi, nel 1971, al suo quinto tentativo, il boom, artisticamente parlando, con l’album Bless the weather. Dopo farà forse anche dischi migliori – i due successivi, Solid air e Inside out sono fantastici e anche molto innovativi e sperimentali – ma la freschezza e l’equilibrio di Bless the weather per me non li raggiunse più. Accompagnato al contrabbasso dall’amico di una vita Danny Thompson, cuore pulsante dei Pentangle e virtuoso dello strumento, Martyn infila una serie di pezzi uno più bello dell’altro: Go down easy, Bless the weather, Walk on the water, Just now, Head and heart (interpretata poi anche dagli America nel loro album Homecoming), tutte ballate d’atmosfera, la strumentale e sperimentale Glistening Glyndebourne, per chiudere con una deliziosa versione del classico di Gene Kelly Singin’ in the rain.
Grande musica, grandissima voce (un modo di cantare tutto suo, che nel corso degli anni diverrà sempre più espressionista) e una chitarra anch’essa inconfondibile, con la sperimentazione con l’echoplex, un distorsore che diverrà un po’ il suo marchio di fabbrica. Fantastico performer “live”, la vita sregolata, gli abusi d’alcol e di sostanze “proibite”, misero a dura prova il suo fisico. Ingrassato, sformato, diabetico, costretto alla sedia a rotelle e persino all’amputazione di una gamba, John Martyn muore a 60 anni nel 2008. Ma la grazia, l’inventiva, e la bellezza dei solchi di Bless the weather restano per me una “pietra emiliana” della mia storia musicale. Grazie di tutto, John.