L’altro giorno ho finito, con una bella accelerazione negli ultimi tempi, al ritmo di cento e più pagine al giorno, Anatomia di un’istante, l’ultimo romanzo di Javier Cercas.
Ho faticato un po’ a entrarci dentro, nonostante Cercas sia uno scrittore che amo molto, ma una volta entrato sono stato preso fino in fondo. Dicevo del mio amore per i libri di Cercas: Soldati di Salamina, il suo grande successo sulla guerra civile (anzi, sulla rilettura oggi di un episodio di allora) è un libro che mi ha entusiasmato, la prima volta che l’ho letto tre o quattro anni fa (e anche nella seconda lettura che ne ho fatto qualche settimana orsono); così come La velocità della luce, un’altra grande storia su un uomo alla ricerca, questa volta di un amico.
Il fatto è che quest’ultima fatica dello scrittore spagnolo è un romanzo un po’ sui generis. Cercas racconta nel prologo che, finito un romanzo sul golpe del 23 febbraio 1981, si era reso conto di non esserne convinto. La materia era troppo magmatica per essere raccontata da una finzione in cui ogni cosa aveva un suo posto preciso, mentre la realtà era stata così ambigua da permettere più letture. E nel vedere un’immagine trasmessa e ritrasmessa in televisione nell’anniversario del golpe – Suarez che resta in piedi mentre nell’aula del parlamento fischiano le pallottole dei golpisti e tutti gli altri deputati (meno Suarez e altri due: l’ex vicepresidente Gutièrrez Mellado e il segretario del Pce Santiago Carrillo) obbediscono agli ordini e si nascondono sotto gli scranni – gli viene in mente una frase di Borges: “Qualunque destino, per lungo e complicato che sia, consta in realtà di un solo momento: quello in cui l’uomo sa per sempre chi è”. E allora decide di scrivere un romanzo su quell’istante.
Ma è un romanzo anomalo. Niente finzione, ma un lungo ragionamento sui tre personaggi, sul loro prima, su quelle venti e più ore dal momento in cui il tenente colonnello Tejero entrò nelle Cortes a quando i golpisti si arresero, e sul dopo. Cercando insieme di dipanare tutti gli interrogativi lasciati aperti da una storia che è stata molto raccontata ma che conserva ancora molti punti oscuri. Ma la bravura di Cercas – mai in discussione – è quella di riuscire ad appassionare il lettore anche con questo interrogarsi continuo e con questo continuo rispondersi senza essere il narratore onnisciente che piano piano disvela i momenti successivi della storia.
Sul golpe di febbraio Cercas ha ragionato a lungo e condivide con il lettore i suoi ragionamenti su un episodio che illumina la storia di Spagna nell’immediato postfranchismo e anche dopo (a ben vedere anche prima), portandolo pian piano nel cuore e nella mente dei personaggi principali, per poi concludere – con umiltà e prima dell’ultimo, rivelatorio capitolo sulle sue, di Cercas, motivazioni nell’affrontare questa storia – che forse “rispondere tramite la realtà a ciò cui non ho saputo o non ho voluto rispondere tramite le finzione letteraria” era “una sfida persa in partenza”. L’unica risposta possibile, insomma, era scrivere un romanzo.
Roberto Bolaño diceva che quando apri un romanzo di Cercas non puoi mollarlo, questo ti inchioda fino a che non l’hai finito. Per quanto romanzo anomalo, Anatomia di un istante su di me, dopo l’approccio un po’ faticoso, ha avuto proprio questo effetto.