Non è qui la festa

Scritto per Radio Articolo 1.

Questa volta ha fatto il buono, Sergio Marchionne. Alla festa per la nuova Panda a Pomigliano d’Arco, l’amministratore delegato di Fiat-Chrysler ha rinfoderato il bastone e ha usato la carota. È soddisfatto: la firma del contratto che estende il modello a tutto il gruppo, l’esclusione della Fiom, le buone notizie che vengono dall’America, dove Chrysler fa registrare risultati record.

Sguardi perplessi tra l'ad Fiat e la sua creatura

E allora Marchionne dice che “il nostro dovere è privilegiare il paese in cui la Fiat ha le proprie radici”. E ancora “La nostra scelta di fare qui la Panda non è basata su princìpi economici e razionali. Lo abbiamo fatto considerando la storia della Fiat in Italia, il rapporto privilegiato con il paese”. Sfida i critici: “Chi ancora dubita che gli impegni della Fiat siano seri e fondati, non ha che da venire qui. Abbiamo mantenuto le nostre promesse”, dice il manager che Time ha paragonato a Steve Jobs.

Peccato che le stesse parole non possa ripeterle a Termini Imerese, dove ha sì mantenuto le promesse, ma le promesse di chiudere. Peccato che di nuovi modelli non ci sia traccia – se non dei restyling, come la Panda, o degli adattamenti al mercato italiano di modelli Usa, come la Thema – e Fiat perda quindi anche per questo posizioni nel mercato italiano. Peccato che il vulnus imposto alle relazioni industriali, alla democrazia sindacale (e alla democrazia tout court) sia di quelli che lasciano macerie alle spalle. Peccato che la nuova organizzazione del lavoro preveda una riduzione secca delle pause e nessuna rivisitazione ergonomica del modo di lavorare, con prevedibili conseguenze certo non positive sulla salute di chi lavora alla catena di montaggio.

Stupisce in tutto questo il silenzio del governo. Solo il ministro Barca ha fatto capire l’altra sera da Lilli Gruber a 8 e ½ – facendosi quasi cavare con le tenaglie le parole di bocca – di non condividere l’atteggiamento e la mancanza di chiarezza della Fiat sul futuro. Da parte dei ministri Passera (e Fornero) il silenzio invece appare totale. Certo, rispetto all’entusiasmo con cui Sacconi accoglieva (e agevolava) le decisioni di Marchionne, magari è anche un passo avanti. Ma sarebbe auspicabile qualche loro mossa per sollecitare il Lingotto a esplicitare le sue intenzioni concrete sul futuro dei tanti altri stabilimenti italiani. Governare vuol dire anche questo.

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