
Quando ho stampato Chi disegna e chi squadra quattro anni fa per farne dono agli amici, il sottotitolo era “e altre storie quasi vere“. Oggi, sulla copertina del libro pubblicato in questi giorni dalle Edizioni Gottifredo, il titolo è lo stesso ma il sottotitolo è “storie vere o quasi vere“.
Questo sottotitolo è frutto del suggerimento di Tarcisio Tarquini, da me prontamente accolto, di abbreviare il precedente sul quale mi ero un po’ fissato, che era diventato nel frattempo “e tante altre storie vere o quasi vere”. Sottotitolo che forse avrebbe avuto senso se avessimo pubblicato – assieme ai dodici racconti che poi sono rimasti fino alla fine –, altre cose con le quali per un po’ ho pensato di irrobustire il corpo del libro. Sette altri racconti giovanili (di circa quarant’anni fa) e due scritti recenti che, sotto forma di racconto, danno conto, uno, della vita di un mio trisavolo patriota nel Risorgimento, Luigi Chierici e, l’altro, dell’esperienza di prigionia di mio padre durante la seconda guerra mondiale. Scritti in fondo niente male, che però non c’azzeccavano molto con i dodici racconti che alla fine abbiamo pubblicato.
A dire il vero, quando pensavo a un “librone” che raccogliesse la mia quasi opera omnia, il sottotitolo che avevo dato al tutto era, in realtà, “e tante altre storie vere e quasi vere”. Dove insomma tra “vere” e “quasi vere” c’era una E e non una O. Il che a ben vedere aveva un senso. Perché di quegli oltre venti racconti alcune erano proprio storie vere e altre invece erano frutto almeno in parte di invenzione.
Il passaggio da E a O è avvenuto in modo quasi inconscio. Non mi ricordo infatti di averci ragionato sopra. In una bozza di fine agosto c’è la E. In un’altra bozza degli inizi di settembre c’è la O. Ancora adesso mi domando se non sia stato un errore, una specie di lapsus.
Anche se a ben vedere, come insegnava il grande viennese, nei lapsus ci sono verità nascoste. Come quella che, in fondo, il fatto che una storia, quando la scrivi, anche se lo spunto è qualcosa di realmente accaduto, diventa qualcos’altro, non è più la storia vera cui hai fatto riferimento. Ma anche, specularmente, il fatto che una storia, anche se di pura invenzione, per il solo fatto di essere stata scritta, di stare lì, sulla carta, in qualche modo assume uno status di verità che prima non aveva. Sono stata scritta, dunque esisto.
Insomma la disgiunzione O in questo caso unisce assai più della congiunzione E. Ogni storia, quando viene scritta, è vera o quasi vera, cioè “vera” e insieme “quasi vera“.