Fànfole, che passione!

È da un po’ che mi frulla per il capino l’idea un po’ folle di leggere alla prossima Sagra della Poesia di Montenero Sabino una poesia (o addirittura più poesie) di Fosco Maraini. Tutto nasce con la scoperta che quella meraviglia del Lonfo, così magistralmente declamata da Gigi Proietti, era opera dell’antropologo, orientalista, alpinista, fotografo, scrittore e poeta fiorentino.

Vero homo sapiens e insieme homo ludens, Maraini si dedicò tra le tante altre cose a quella che definì poesia metasemantica realizzando, oltre al Lonfo, altri quindici componimenti raccolti in quella Gnosi delle Fànfole che è stata ristampata pochi anni fa da La nave di Teseo. Una goduria totale il libriccino, che, oltre all’introduzione della figlia Toni, contiene l’imperdibile premessa dello stesso Fosco, dieci pagine di prosa favolosa e scintillante che aiutano davvero a penetrare in questo universo parallelo di parole in cerca di significato.

E insomma. Chissà se davvero oserò tanto il prossimo mese di agosto nel giardino sotto la chiesa di San Cataldo… Mi consola e mi spinge una delle ultime considerazioni dello stesso Maraini nella premessa. «La poesia metasemantica va piuttosto recitata o letta ad alta voce che scorsa con gli occhi in silenzio, come si fa normalmente con i versi tradizionali. È legata al suono, al corpo, alla fisiologia, alle passioni della parola. Per questo, anche, va letta con una certa lentezza: correndo si riduce a un bantù, un tocarico, un burusciaschi insensato. Bello sarebbe cantarla!»

Beh, cantarla non credo. Ma leggerla, in fondo, perché no?

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