Ieri sera cena minimalista e quasi perfetta (anzi, tolgo il quasi). Per entrée una splendida vellutata (si dice così?) di porri “al quadrato”. Un piatto che dire povero è minimizzare (povero ovviamente nel senso del costo, perché ricco quant’altri mai d’invenzione), che Daniela ha copiato dal grande cuoco Igles Corelli (dal quale eravamo stati a mangiare secoli fa alla Locanda della Tamerice di Ostellato, sua seconda incarnazione dopo il mitico Trigabolo di Argenta) che l’aveva realizzata in una delle sue esibizioni sul piccolo schermo. La preparazione sembra (ed è) semplice. Rondelle di porro a stufare nell’olio e in un brodo fatto con altro porro e (aggiunta di Daniela) patata. Alla fine, quando il porro è bello stufato, si minipimerizza il tutto e, se serve, si allunga con un po’ di brodo tenuto da parte. Prima, quando all’inizio si è sfogliato il porro, se n’è tenuta una o due foglie esterne, che vengono affettate sottilissime e poi fritte nell’olio.
Il finale prevede la vellutata, con sopra un po’ d’olio a crudo, una grattatina di pecorino, una macinata di pepe, qualche chicco di sale grosso e i porri fritti. Più o meno così
E dopo questa meraviglia un’altra meraviglia. Due uova, più che strapazzate direi accarezzate un po’ ruvidamente, portate il mattino da Franco che erano appena uscite, diciamo così, dal pollaio, accompagnate da pane leggermente tostato. Sublimi anch’esse. Che cosa si può volere di più?