Verso la metà di dicembre mi era arrivata l’edizione inglese (la prima a uscire) dell’ultimo romanzo di Michael Connelly, The Black Box. L’ennesima, splendida avventura di Hyeronimous (Harry) Bosch, il detective nato dalla penna dello scrittore di Philadelphia, a lungo cronista di nera del Los Angeles Times. (Tra parentesi: fantastica Amazon.Com: dall’Inghilterra alla Sabina in neanche una settimana…)
Finito il primo volume di 1Q84, mi sono buttato sul mio crime story writer preferito. Ci ho messo tre giorni o forse anche meno a leggerne le quasi 400 pagine (del resto a Natale non si lavora): sono rimasto letteralmente incatenato al libro. Si tratta di una vicenda tipo “cold case”: l’omicidio di una giornalista danese avvenuto a L.A. durante la rivolta che seguì, nel 1992, il processo per il pestaggio di Rodney King. Un omicidio che allora restò impunito e che Bosch, il detective che in quelle ore convulse arrivò per primo sulla scena del crimine ma non ebbe né il tempo né la possibilità di approfondire, vuole oggi risolvere anche contro chi nel dipartimento vede di mal occhio questa sua insistenza: politicamente, gli fanno notare, non sarebbe molto ben visto il fatto che l’unico a essere risolto, dei tanti omicidi che avvennero in quelle giornate folli, sia quello di una donna bianca, quando la quasi totalità delle vittime erano afroamericani. Ma per Bosch, come sa chi conosce il personaggio, “ognuno conta, se no non conta nessuno”, e non ci sono osservazioni politiche che tengano davanti al suo motto.
Non dirò nulla dello svolgimento della vicenda, che, come dice mio fratello, è un “diesel”: inizia lentamente, ma quando acquista velocità è inarrestabile; se non che, mai come questa volta, quello che affascina è il meccanismo della costruzione del caso. Dal niente, in pratica, partendo da un indizio più che labile ma non rinunciando mai ad andare avanti, nonostante sia nel mirino degli Affari Interni, Harry Bosch ricostruisce, facendo ipotesi e poi verificandole (o falsificandole), una vicenda di cui piano piano si svelano i contorni inquietanti. Nulla è come sembra e, come spesso avviene, per risolvere il caso il nostro rischia tutto, anche la vita.
Una lettura che raccomando vivamente, ovviamente, per adesso, a chi legge l’inglese, anche se non è necessario conoscerlo a livelli eccelsi: la lingua di Connelly, che punta molto sui dialoghi, è accessibilissima, il godimento assicurato.
