Pau, non Pablo

Casals in una foto dei primi del 900

Ho appena finito di sentire il Concerto per violoncello di Dvorak nell’interpretazione di Pau Casals, accompagnato dall’Orchestra Filarmonica Ceca diretta da George Szell, un’incisione del 1937 riedita dalla rivista Symphonia, diretta da Piero Rattalino. Musica splendida, splendidamente interpretata, e chissenefrega se non è hifi, visto che sicuramente è hiem, ad alta emozione.

Adesso sta girando nel lettore il concerto di Elgar e più tardi chiuderà il tutto l’Adagio e Allegro di Schumann.

Benedette riviste, quelle di musica classica che si trovano in edicola, da Amadeus a Classic Voice, a questa rinata Symphonia: sono un ottima occasione per tutti di arricchire a un prezzo ridotto, ma con proposte di qualità, la propria discoteca.

Pau Casals nel ritratto che gli fece Oskar Kokoschka

Leggo nelle note del fascicolo che accompagna il cd, dalla bella grafica un po’ retro, della splendida coerenza di Casals. Pau è il suo nome in catalano. Conosciuto con il nome spagnolo Pablo, rinnegò il nome e la nazionalità spagnola dopo l’ascesa del franchismo. Esiliato in Francia, rifiutò ingaggi da chi aveva rapporti con la Spagna fascista e diradò i concerti. Fino al 1956 quando, trasferitosi a Porto Rico, ricominciò ottantenne a esibirsi. Era nato nel 1876 e morì nel 1973 a 96 anni. A un ministro inglese che voleva vederlo, subito dopo la guerra, rispose rifiutando l’incontro: “Voi parlereste di politica e io di morale. Non ci capiremmo”. Grande, grandissimo musicista (basti pensare alla sua riscoperta delle suites per violoncello di J. S. Bach: prima di lui nessuno strumentista, neanche un violinista, aveva mai suonato per intero una suite; al massimo si faceva un pezzo…) era anche un grande uomo. Gente di altri tempi.

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