Ieri l’occhio è caduto, mentre guardavo negli scaffali dove tengo la musica rock pop folk, su un nome che avevo quasi dimenticato: Enya. Ho cercato tra i vari cd che possedevo il primo e ho pensato di averlo trovato (dopo ho scoperto che in realtà era il secondo, ma è stato quello che l’ha lanciata ed evidentemente quello che io ho conosciuto per primo).
Si chiamava Watermark ed era uscito nel 1988. Una vita fa. L’ho messo nel lettore e piano piano un mondo ha preso vita. Era come ascoltare per la prima volta qualcosa che in realtà già conscevo. Una sensazione stranissima.
E la musica era anche bella ma un po’ raggelante. A partire dal pezzo strumentale che dà il titolo dell’album e che lo apre. Per passare al secondo, Cursum perficio, cantato in latino (stile Carmina Burana). Per poi andare indietro nel tempo brano dopo brano, sull’onda di tastiere evocative (quasi dei cori appoggiati su dei bassi rotolanti), di una voce ricca di echi, e di strumenti altrettanto ricchi di echi (quasi un marchio di fabbrica, l’eco). Fino a che è arrivato il momento di Orinoco Flow, il grande successo, vero e proprio tormentone di mille colonne sonore, pubblicità, servizi televisivi: con il suo ritmo puntato e ipnotico, la tastiera campionata, i cori incalzanti era quasi una sintesi perfetta dello stile Enya. Molto ben costruito, appunto. Molto suggestivo con i suoi richiami celtici, tra scogliere e banshees. Ma anche molto ripetitivo. Molto new age, alla fin fine: mancava solo l’incenso…
Dev’essere per questo che l’avevo dimenticata. Deve essere per questo che molto probabilmente tra un po’ la ridimenticherò.

