Charlie Haden è un grandissimo musicista. Un genio. E mo’ l’ho detto (anche se non vorrei sembrare come Vincenzo Mollica o Fabio Fazio, per cui tutti sono il top dei top). No, Haden è un genio davvero. Tutta la sua storia lo dice a gran voce. Io personalmente amo soprattutto la sua vena lirica, che emerge negli incredibili album in duo con Pat Metheny, Kenny Barron, Gonzalo Rubalcaba e Keith Jarrett, o in quelli con la formazione del Quartet West.
Ma qui vorrei parlare di un’altra iniziativa di Haden, la Liberation Music Orchestra. Nato nel 1969, in piena era free, questo ensemble (al quale hanno collaborato negli anni molti tra i migliori musicisti jazz del mondo) è un progetto intermittente. “Rifondato” ogni 10-15 anni, ha realizzato 4 dischi (con una scelta di pezzi che svela la forte connotazione di sinistra dell’impegno di Haden) e svariate turné.
Tutti azzeccati, gli album, ma il mio favorito è l’ultimo, “Not in our name”, arrangiato e diretto come gli altri da Carla Bley. L’album è del 2005 ed esplora in chiave jazz le molte facce musicali del mondo Usa, con citazioni rock, folk e classiche, e si chiude con un’esecuzione davvero bella dell’Adagio di Barber, nato per archi e qui eseguito, con sobrietà e ispirazione, per fiati. Molto bello. Come è veramente coinvolgente l’esecuzione in chiave jazz-reggae di This is not America, la canzone di Pat Metheny, Lyle Mays e David Bowie, di cui posto qui il link. Per chi fosse interessato aggiungo anche un paio di altri link: uno all’esecuzione dal vivo del pezzo Sandino, dall’album Dream Keeper del 1990; l’altro a una performance anch’essa dal vivo con Kenny Barron (simpatico il momento, al minuto 2 e 30 circa, in cui Haden invita il pubblico ad applaudire il suo partner e ne approfitta per scaldarsi le mani…).

