Fiat. Non è il tempo di dividersi

Scritto per RadioArticolo1.

Chi pensava, temeva o magari auspicava rotture o rese dei conti tra Fiom e Cgil al direttivo della Confederazione dell’11 e 12 gennaio, si sbagliava di grosso. Infatti, se l’ordine del giorno relativo al confronto con il governo ha visto riproporsi, ma senza particolari asprezze, la contrapposizione tra maggioranza e opposizione sancita dall’ultimo congresso della confederazione, quello sul caso Fiat è stato votato dalla stragrande maggioranza dei membri del parlamentino Cgil (solo 3 i voti contrari).

Il new look di Marchionne

Non che le differenze di valutazione (che sono soprattutto sulla strategia di risposta a Marchionne e sul modo in cui rientrare nelle fabbriche da cui i metalmeccanici della Cgil sono stati cacciati, non sui comportamenti e le strategie del gruppo dirigente del Lingotto) siano miracolosamente scomparse. E del resto anche la Fiom non è uscita monoliticamente dal suo comitato centrale, se è vero, oltre all’astensione della minoranza guidata da Fausto Durante, c’è stato anche il voto contrario (ovviamente per motivazioni diverse) della componente 28 aprile sul documento presentato dal segretario generale Maurizio Landini.

Ma quando lo scontro si fa pesante, com’è pesante, adesso più che mai, quello tra la multinazionale di Torino (ancora, ma per quanto?) e il sindacato maggioritario nel gruppo (e nell’intera categoria, bisogna serrare i ranghi e non certo disperdere le forze. E le ultime dichiarazioni di Marchionne da Detroit, riportate dai giornali di venerdì 13, non fanno che rincarare le preoccupazioni.

Per questo, il documento approvato dal direttivo Cgil “ritiene grave e sbagliata la scelta della Fiat di continuare sulla strada della rottura aggravata dalla definizione di un contratto di primo livello che cancella il contratto nazionale e la storia della contrattazione collettiva del gruppo e che tiene fuori illegittimamente dai luoghi di lavoro il sindacato maggiormente rappresentativo”. Una scelta che “viola i principi di uguaglianza e di libertà sindacale stabiliti dalla nostra costituzione, dal nostro ordinamento legislativo, dai contratti nazionali e rappresenta per tutto il sindacato confederale un problema da risolvere perché mette in discussione i principi fondamentali su cui si è sempre basato il pluralismo sindacale ed è fuori dalle regole e in contrasto con l’accordo del 28 giugno”.

Che fare allora? In primo luogo “è urgente ripristinare il diritto dei lavoratori di essere rappresentati nei luoghi di lavoro dai sindacati a cui liberamente aderiscono. Per tutto ciò è importante che il governo chieda conto a Fiat e avvii un confronto serio sul piano industriale e sugli investimenti più volte annunciati”.

Oltre e insieme a questo, “confermando la scelta della Cgil sui temi della democrazia e rappresentanza”, il direttivo “valuta urgente un confronto per ripristinare lo spirito della regola originaria dell’art. 19 dello statuto dei lavoratori”, quella che doveva garantire l’agibilità nelle fabbriche ai sindacati rappresentativi.

Il comitato direttivo della Cgil appoggia la scelta della Fiom di chiedere un referendum: il documento dice infatti che si “sostiene e condivide la richiesta dei lavoratori del gruppo Fiat per l’indizione di un libero referendum abrogativo avanzata a Fim, Uilm e Fiat nel rispetto degli accordi sindacali del 1993, e auspica che possa essere svolto anche con l’obiettivo della ricostruzione di tutti i diritti di rappresentanza e di corrette relazioni sindacali”.

D’altra parte la Fiom, la sua maggioranza, fa un passo verso la confederazione sull’accordo del 28 giugno. E infatti, il documento dice che il direttivo “impegna la segreteria alla rapida attuazione degli impegni contenuti nell’accordo del 28 giugno sulla certificazione della rappresentanza e impegna le categorie alla definizione di regole unitarie e condivise per la validazione democratica dei contratti collettivi nazionali di lavoro con la definizione di appositi intese e regolamenti”.

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