Stamattina il cielo era a pecorelle (oddio, magari a pecorellone…).
E il meteo diceva (e dice): nubi irregolari con forti rovesci, con tanto di iconcina con il fulmine rosso. Ma quando sono uscito con le “ragazze” il tempo si era addolcito, splendeva un bel solicello e dentro di me pensavo: “Quando torno, aspetto un po’ che l’erba si asciughi, poi finisco di trinciare nella vigna”.
Così ho preso il solito sentiero nel bosco sulle rive del Farfa e sono arrivato al secondo alberone (tragitto totale, fino a lì, due chilometri). Ho fatto marciaindrè e, arrivato all’ansa del fiume dove le ragazze fanno il bagno (Chicca, in realtà, fa solo un veloce bidet), ho incontrato un signore straniero dalla faccia simpatica (assomiglia a Geoffrey Rush, ma in bianco) che fa birdwatching ai Pantani e ha messo sul sentiero una cassettina con dentro i risultati delle sue osservazioni. Aveva riparato la sua cassetta che, per via di infiltrazioni d’acqua, aveva visto il palo di sostegno marcirsi. Abbiamo chiacchierato cinque minuti di aironi cinerini (grey heron), aironi rossi (purple heron) e di upupa. Gli ho spiegato dove abitavo ma poi, visto che guardava dietro di me ad occhi spalancati, mi sono girato. E un cielo improvvisamente nero – ma nero nero nero… – incombeva su di noi.
Ci siamo salutati in fretta – lui era in macchina, io avevo più di un chilometro e mezzo da fare – e ho preso in direzione di casa. Era diventato improvvisamente freddo – ma freddo freddo freddo… –, ho pistato come un diavolo, sempre con questo alito gelido di pioggia sul collo e sono riuscito ad arrivare a casa praticamente asciutto (a parte il sudore, ovviamente). Il tempo di salutare Daniela che stava spazzando la terrazza in previsione della pioggia, di entrare in casa ed è arrivato l’acquazzone.
