Like the first dewfall

Prima di immergersi nella piscina per il bagno delle 16 e 30 – il termometro nuovo segnava un’acqua a 29 gradi –, Enri prese la retina e liberò la superficie, per quanto era possibile, dai tanti e tanti insetti che avevano scelto di suicidarsi per il troppo caldo, o che avevano calcolato male la loro capacità di resistere nel liquido, come quella mosca tenacemente attaccata al filo del robottino, due o tre centimetri sotto il pelo dell’acqua, così attaccata da restarci.

Tra questi, c’erano molte api (o vespe, comunque degli insetti gialli e neri, dal volo ronzante). Alcuni deceduti, altri sul punto di, altri che con una scrollata d’ali riprendevano prontamente a volare, altri ancora infastiditi mentre stavano bevendo dal salvataggio non richiesto e quindi pronti a rituffarsi sulla superficie che riluceva sotto il sole ormai calante.

Chissà se quelli che ho salvato conoscono il significato della riconoscenza – disse tra sé e sé Enri – chissà se, incontrandomi di nuovo, si ricorderanno di quanto ho fatto per loro o se, incrociandomi, ignoreranno il passato e mi pungeranno”.

Enri aveva parlato piano, forse aveva solo pensato quanto sopra. Ma una Voce gli rispose (forse era uno dei sé tra i quali aveva espresso quei concetti, forse no, ma comunque c’è spesso una Voce che interviene nelle parabole, ndt): “Guarda che quello che hai fatto non l’hai fatto per loro, l’hai fatto per te, l’hai fatto perché non ami mischiarti a loro mentre sguazzi tra i flutti” (le Voci, si sa, parlano spesso usando termini magniloquenti e un po’ sovradimensionati rispetto alla realtà). “Dunque – proseguì la Voce – non riconoscenza devi sperare, semmai indifferenza o meglio fastidio, loro nei tuoi confronti”.

Il momento della verità arrivò quasi subito dopo il bagno e le dieci vasche fatte battendo il crawl. Dopo una rapida doccia, Enri si sdraiò sul lettino al sole, per asciugarsi e magari abbronzarsi un po’. Intorno gli ronzavano le api (o le vespe) e nessuna lo punse.

In compenso venne abbondantemente slinguazzato dalla sua cana preferita, Orsetta, che gli ricordò così che lui, a lei, non era indifferente. Anzi, che lei gli voleva proprio bene.

Enri pensò che doveva esserci un significato profondo in tutto questo, ma era troppo rilassato per pensarci. E si addormentò.

Dal Libro di Enri, capitolo 7, versetto 33

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