Scritto per RadioArticolo1.
Sedici ore di sciopero. Otto per assemblee e altre otto per uno sciopero generale in una data ancora da decidere (a seconda di come e quando si svilupperà la discussione in Parlamento). La risposta della Cgil è commisurata al “danno”, punta a influire sul dibattito politico e a cambiare la norma contenuta nella riforma sull’articolo 18, ma non solo. Ha un bel che dire (con una discreta faccia tosta in verità) Raffaele Bonanni che l’art. 18 è “stato solo mantenuto e ristrutturato”. Non è vero, nei fatti è stato manomesso e largamente depotenziato nella sua funzione di deterrenza, come provano i commenti oggi sui giornali di fior di giuslavoristi e perfino quello di Massimo Giannini, vicedirettore di Repubblica, fino a ieri quotidiano ufficioso del partito di Monti, che su questo punto e sullo strappo effettuato ha bacchettato il premier.
A ben vedere c’è una spiacevole coerenza nelle decisioni prese fin qui dal governo. Che ha avuto certo il merito di far calare il famigerato spread tra i nostri titoli di Stato e quelli tedeschi, è vero. Ma che nelle varie “riforme” messe in piedi nei poco più di cento giorni della sua vita ha dimostrato una chiara propensione a colpire, se non solamente, almeno principalmente, una parte sola: il lavoro dipendente e i pensionati. A partire dalla riforma della previdenza e dalla penalizzazione delle pensioni “d’oro” superiori ai 1.500 euro lordi al mese. Con la scusa – ché di questo si tratta – di operare per quei giovani condannati dalla troppa flessibilità introdotta nel sistema al precariato e a future pensioni da fame, si è inasprito il regime della previdenza (senza tenere minimamente in conto le legittime aspettative di centinaia di migliaia persone in dirittura d’arrivo per la pensione) dando vita al fenomeno degli esodati che, sottovalutato all’inizio, adesso sta scoppiando in mano all’esecutivo. Sempre in nome di quei giovani si è dipinto come privilegiati coloro che hanno un lavoro a tempo indeterminato (e certo è un po’ paradossale che a farlo sia chi guadagna un milione e mezzo di euro l’anno e ha da parte 11 milioni di euro, investiti in fondi) ma con questa ultima riforma si fa qualcosa (poco) per dare loro meno precarietà e nel contempo si fa molto per estendere la precarietà a un mercato del lavoro che già non se la passa troppo bene. Nel frattempo, guarda caso, tassisti e banche la sfangano. Alla faccia della coesione sociale.
Si dice: l’Europa plaude all’operato del governo. Sì, ma quale Europa? Quella guidata da Merkel e Sarkozy che fino adesso non ha saputo escogitare che una strategia sbagliata e fallimentare per rispondere alla crisi. Monti in realtà è consustanziale a questa Europa, per cultura politica ed economica. Lo dimostra anche il fastidio con cui liquida il sindacato, a meno che questo non dica sempre sì a tutto, nell’illusione di stare nella stanza dei bottoni. Lo chiama dialogo sociale ma è evidente che parla con una parte più che con l’altra. Non è probabilmente un caso che nel giorno dello strappo Marchionne abbia dichiarato che senza Monti gli investimenti Fiat sarebbero più difficilmente rimasti in Italia.
Il problema adesso si sposta in Parlamento e, per dirla tutta, dentro il Partito democratico. Oggi le interviste di Fassina e Fioroni su Repubblica erano emblematiche di un partito diviso, se non di due partiti. Bersani ha su di sé un compito improbo. Personalmente ho molto apprezzato il coraggio e il senso di responsabilità con i quali ha detto sì alla nascita del governo tecnico invece delle elezioni, per il bene del paese, pur sapendo di rischiare molto per il suo destino personale e per quello del suo partito, che rischiava di dissanguarsi come purtroppo sta avvenendo. Bersani ha mandato giù un bel po’ di rospi nel frattempo e le cronache lo dipingono “imbufalito” per l’atteggiamento di Monti in questa vicenda. Non sarà facile far cambiare idea al presidente del Consiglio (tetragono nelle opinioni almeno quanto è monotono nelle esposizioni). Ma è quanto dovrà cercare di fare. Non per la Cgil. Ma per la gente che rappresenta, che è stufa di essere sempre la sola a pagare.