Scritto per RadioArticolo1.
Questa settimana ne sapremo di più sulla riforma del mercato del lavoro che il governo Monti vuole varare. Fino adesso è tutto un “dico, non dico”. Come in fondo l’incontro della settimana scorsa, con il famoso Piano Fornero stampato in tre copie e subito ritirato, viste le reazioni di tutti i presenti. E quelle tre copie fanno onestamente pensare a una tattica prestabilita: lanciare il sasso per vedere l’effetto che fa e, sulla base delle reazioni, continuare su quella strada oppure ricalibrare l’agenda e le proposte.
Nell’attesa, si sprecano ovviamente i retroscena e le anticipazioni. Su quello che ha in mente Elsa Fornero, sulle divisioni all’interno della compagine di governo, sui propositi del presidente del Consiglio. Ieri (e oggi) ogni quotidiano che si rispetti aveva (e ha) uno o più articoli sul tema. Tutti concordano sul fatto che verrà evitato il decreto, nonostante le pressioni del Pdl. E però anche sul fatto che il governo vuole assolutamente che il disegno di legge deve assolutamente essere approvato entro marzo, per evitare che la trattativa sia aperta quando inizierà la campagna elettorale delle amministrative e le cose si faranno indubbiamente più difficili per il governo.
“Ci sono diverse esigenze che dobbiamo rendere compatibili – ha dichiarato Mario Monti in una lunghissima intervista al Tg1 –, ma io credo che sia possibile. Per creare occupazione in Italia occorre che produrre diventi una cosa più competitiva; occorre che la protezione delle persone nel mercato del lavoro non diminuisca, ma diventi più equilibrata e con una protezione meno concentrata sul singolo posto di lavoro e più concentrata sul singolo lavoratore, quindi con un’esigenza di mobilità nel tempo. Quindi c’è un obiettivo di efficienza e un obiettivo di maggiore equità sociale”. Queste le esigenze. Anche qui, dette e non dette. Come tradurle in pratica, poi, è un’altra cosa ancora. La maggior parte delle anticipazioni dicono che l’art.18 non verrà toccato, per chi è già assunto, ma su che cosa si farà per semplificare le forme contrattuali e ridurre in concreto la precarietà che affligge le giovani generazioni e chiunque abbia la sventura di perdere il lavoro – questa la vera emergenza, la vera priorità – non c’è uniformità. Si parla di apprendistato (come chiedono i sindacati), si riparla di contratto unico, di contratto prevalente. Vedremo.
Così come sul tema cassa integrazione, da un lato c’è ciò cui si aspira (un modello che si rifà in qualche modo alla Scandinavia) e c’è la realtà di oggi, con la crisi che incombe sempre più pesante e risorse sempre meno adeguate. Certo le reazioni di tutte le parti sociali dovrebbero aver fatto pensare il ministro Fornero. Anche qui, vedremo in settimana.
Con una piccola postilla. Per creare lavoro occorre che produrre diventi una cosa più competitiva, dice il presidente del Consiglio. Perché ciò possa avvenire abbiamo seri dubbi che basti intervenire sul mercato del lavoro rendendo più agile la mobilità in uscita, in soldoni più semplice licenziare. Così come lasciare l’articolo 18 per chi ce l’ha e toglierlo per i nuovi assunti non è certo un modo per ridurre il dualismo tra “garantiti” e “precari” nel mondo del lavoro. Anzi, è il modo per esaltarlo. E poi, non ci stancheremo di ripetere che non è questo il punto, checché ne pensino (o ne pensassero) alla Bce. Altre sono le arretratezze su cui intervenire per creare lavoro, dalla dimensione d’impresa alla specializzazione produttiva, da un nuovo intervento pubblico alla ricerca & sviluppo da incentivare e diffondere. Monti e Passera queste cose non possono non saperle. Queste sono le urgenze.