Come sempre leggere Paul Krugman è illuminante. In un post di circa un’ora fa sul suo blog sul New York Times, per commentare il recente downgrading dei debiti di Francia, Austria, Italia e di altri paesi europei da parte di S&P’s, cita le FAQ dell’agenzia di rating
“Noi crediamo anche – dice S&P’s – che l’accordo (l’ultimo piano europeo di salvataggio) sia basato su una comprensione solo parziale dell’origine della crisi: che cioè l’attuale terremoto finanziario derivi primariamente dalla dissipazione fiscale alla periferia dell’Eurozona. Nella nostra visione, invece, i problemi finanziari che sono di fronte all’Eurozona sono conseguenza – in misura almeno altrettanto significativa – degli sbilanci e delle divergenze crescenti in termini di competitività tra la parte più forte dell’Ue e la cosiddetta periferia. Per ciò crediamo che un processo di riforma basato solo sul pilastro dell’austerità fiscale rischi di diventare controproducente, visto che come conseguenza la domanda interna crolla seguendo le preoccupazioni crescenti dei consumatori sulla sicurezza del lavoro e i redditi disponibili, erodendo quindi le entrate tributarie nazionali”.
Al di là del rodimento procurato dal declassamento proprio mentre il nostro paese sta facendo i sacrifici che tutti sappiamo, non si può dire che l’analisi sia scorretta. Specie se la paragoniamo alla risposta della Germania, citata anch’essa da PK: “La cancelliera tedesca Angela Merkel ha sollecitato i governi dell’eurozona a implementare in fretta nuove e più stringenti regole fiscali dopo che Standard & Poor’s ha abbassato i rating di Francia e Austria e di altri sette debiti sovrani di seconda fascia”.
Condivisibili, allora, anche le conclusioni del premio Nobel del 2008. “Si continua a rotolare giù per la strada verso il nulla“. Il guaio è che se non smettiamo di rotolare, il nulla non è molto lontano.

